Anche nel Piceno gli agrumi arrivarono ben presto: il primo documento certo porta la data del 1371 e parla della vendita di due giardini con arance a Grottammare ("giardino, orto mallorum arantiorum"), mentre il noto esploratore Silvio Zavatti, in un articolo sugli agrumi piceni del 1966, cita un manoscritto rinascimentale dove si diceva che la coltivazione degli aranci fu introdotta a Grottammare in tempi remoti da marinai siciliani, e nel XII e XIII secolo vi si coltivassero arance; anche i primi documenti pittorici locali con agrumi si datano alla metà del XIV secolo: si può asserire senza errore, dunque, che almeno dalla prima metà del 1300 questo tipo di coltivazione pregiata era pienamente affermato.
Dalla fine del XVIII secolo, gli agrumi furono anche specialità del ceto mercantile che aveva fatto fortuna pure con l'export dei pregiatissimi frutti verso le rotte veneziane e trans-adriatiche. Con l'avanzare del XIX secolo se ne ampliò il consumo, non essendo più considerati come "frutti esotici".
Rimangono testimonianze significative della cultura materiale e della tradizione, che vanno dalla cucina (tipica l'invernale "insalata di arance" con finocchi e olive nere), agli stornelli popolari, ai modi di dire (ad es. "la merarangia la matina è oro, a pranzo argento, la sera piombo").
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