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Maria Luisa Pacelli
"Giulio II e Raffaello"
Una nuova stagione del Rinascimento a Bologna
Bologna, Pinacoteca Nazionale
fino al 5 febbraio 2023
Mostra a cura di Daniele Benati, Maria Luisa Pacelli ed Elena Rossoni.
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Da Raffaello a Parmigianino, in Pinacoteca
il Rinascimento a Bologna
L’arrivo a Bologna del Ritratto di Giulio II di Raffaello dalla National Gallery di Londra è stato il
punto di partenza per lo sviluppo del progetto espositivo: “Giulio II e Raffaello. Una nuova stagione
del Rinascimento a Bologna”, a cura di Daniele Benati, Maria Luisa Pacelli ed Elena Rossoni, alla
Pinacoteca Nazionale sino al 5 febbraio.
Tra i capolavori della ritrattistica rinascimentale, effige di uno degli uomini più influenti del suo tempo,
l’opera è particolarmente significativa per Bologna poiché il papa della Rovere fu colui che ricondusse
la città sotto il dominio della Chiesa, mettendo fine alla pseudo-signoria della famiglia Bentivoglio che
l’aveva governata nel corso del XV secolo, e cambiandone così radicalmente il corso della storia.
Ad evidenziare la portata, non solo temporanea, di questo evento, è la Direttrice della Pinacoteca,
nonché co-curatrice della mostra, Maria Luisa Pacelli, nel suo intervento nel catalogo.
“L’inserimento del dipinto nell’ala del museo dedicata all’arte del ‘400 e del ‘500 è stata l’occasione per
riorganizzarne il percorso, con lo scopo di mettere in luce alcuni degli episodi più significativi del
Rinascimento bolognese, anche grazie a pochi altri mirati prestiti. Il progetto, costruito principalmente
attorno al ricco patrimonio di dipinti e opere su carta del museo, trova una sua estensione e
completamento in altre raccolte e siti monumentali cittadini, dove verrà posto l’accento sulle
testimonianze artistiche di questa fase della storia bolognese.
In Pinacoteca si è scelto di iniziare l’esposizione con un focus sulla Cappella Garganelli: decorata dai
ferraresi Francesco del Cossa ed Ercole de Roberti tra il 1477 e il 1485, fu una delle imprese
pittoriche più straordinarie del Quattrocento bolognese, di cui il museo conserva il volto della Maddalena piangente dipinto da Ercole, unico prezioso frammento giunto fino a noi. L’altro estremo cronologico della mostra è il 1530, anno in cui Bologna ospitò l’incoronazione a imperatore di Carlo V
d’Asburgo da parte di papa Clemente VII, imponendosi all’attenzione dell’intera Europa.
La prima parte dell’esposizione è dedicata all’arte fiorita durante il governo dei Bentivoglio, dagli anni
’70 del ‘400 fino al principio del nuovo secolo, quando la città vive una fase di relativo benessere e
stabilità politica. La congiuntura favorevole e il mecenatismo della corte generano un ambiente propizio alla sperimentazione, cui concorrono artisti provenienti da altri centri, come i ferraresi del Cossa, de Roberti e Lorenzo Costa, mentre tra i bolognesi emergono le personalità divergenti di Francesco Francia e Amico Aspertini.
In questo clima culturale, arricchito all’alba del nuovo secolo dal sopraggiungere di opere di altri
forestieri, come Perugino e Filippino Lippi, vengono promosse importanti committenze che, oltre a
dare lustro alla città e ai suoi governanti, sono il cantiere di elaborazione di una cultura figurativa
autoctona, come ben dimostra la raccolta di opere del periodo presente in Pinacoteca e questa mostra.
Con la riconquista di Bologna da parte della Chiesa, lo scenario cambia in maniera sostanziale. La
città è un centro strategico per gli obiettivi politici di Giulio II che si preoccupa di affermare il proprio
dominio non solo con l’azione militare e amministrativa, ma anche attraverso un programma
d’interventi coerenti con la politica di propaganda artistica promossa nella capitale. A questo fine,
vengono chiamati a Bologna due protagonisti delle committenze capitoline, Bramante e
Michelangelo. Il primo interviene sui principali luoghi di rappresentanza del potere e, più in generale,
sull’immagine della città; al secondo viene invece commissionata una statua in bronzo del pontefice da porsi sulla facciata della basilica di san Petronio. E mentre gli artisti dell’entourage bentivolesco lasciano la città o si ritirano ai margini della scena, ad imporsi è la lingua della “grande” arte romana,
principalmente sotto il segno di Raffaello.
Sebbene non documentato a Bologna durante il pontificato di Giulio II, è infatti il maestro urbinate a
influire maggiormente sulla produzione e il gusto locali da questo momento in avanti. A partire dal
1508, Raffaello è assorbito dalla decorazione delle Stanze Vaticane e non si allontana dalla capitale, ma l’eco delle sue imprese inizia già da ora a permeare l’ambiente artistico bolognese. Per registrare
l’arrivo di sue opere in città bisognerà invece attendere la metà del secondo dec
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