Un muratore, che si occupava dei lavori di carpenteria per l'intonacatura di uno stabile, nella pausa pranzo, scendeva dall'impalcatura e mettendo i piedi in fallo precipitava nel vuoto, finendo prima su di un tetto in eternit e poi sul lastrico stradale.
Invocando quest'infortunio sul lavoro, il muratore chiedeva all'Inail la corresponsione dell'indennizzo per i postumi di invalidità temporanea e per i postumi di invalidità permanente.
Il tribunale, però, respingeva la sua domanda risarcitoria perché il muratore "per accedere al piano inferiore, dove era sceso per consumare il pasto, pur in presenza di un accesso sicuro costituito dalla botola che collegava il piano dei ponteggio con quello inferiore, preferì scendere dal ponteggio, tenendosi ai tubi che lo componevano, solo perché la botola era distante circa 8 metri."
Per il tribunale l'evento è stato causato da una scelta arbitraria del lavoratore che aveva creato volutamente una situazione di pericolo interrompendo il nesso causale con la sua attività lavorativa.
La corte di appello confermava la sentenza del tribunale.
Il muratore, non soddisfatto dalle due decisioni, ha proposto ricorso in cassazione. La corte suprema, però, ha confermato le due precedenti decisioni dei giudici di merito, riaffermando l'inesistenza del diritto a percepire l'indennità perché il muratore nell'occasione aveva posto in essere una "ingiustificata e pericolosa condotta... configurando un rischio elettivo non indennizzabile".
La Corte di Cassazione, a sostegno di questa sua decisione, ha richiamato la costante giurisprudenza della corte stessa tra le quali la sentenza numero 19.494/2009 e la sentenza numero 3686/2009.
La sentenza della Corte di Cassazione sezione lavoro è datata 9 luglio 2014 n. 15.705,
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