È il 28 ottobre 1954. In casa Hemingway squilla il telefono. Ernest si alza a fatica, ferito dopo i due incidenti aerei che lo hanno colpito duramente, sia nel corpo che nello spirito. Si sta riprendendo, certo, il suo cuore è forte, ma è convinto che la sfortuna lo stia perseguitando e non si sente più il mito vivente, il coraggioso cacciatore, il pugile tosto di una volta. È debole. La sua lotta non è più contro leoni o grossi marlin.
Il telefono continua a squillare, alza la cornetta, gli è stato assegnato il Premio Nobel per la Letteratura, con questa motivazione: "Per la sua maestria nell'arte narrativa, recentemente dimostrata con 'Il vecchio e il mare', e per l'influenza che ha esercitato sullo stile contemporaneo". Deve volare a Stoccolma! Alla stampa dice di non meritarlo, ci sono altri scrittori più meritevoli di lui. Poi ci ripensa. Ma il suo corpo stavolta la vince sullo spirito. Si arrende agli ordini del dottore e rimane a casa.
Chiama l'ambasciatore statunitense a Stoccolma, John C. Cabot, e gli chiede di ritirare il premio per lui e di leggere il discorso che ha preparato, in occasione della cerimonia alla City Hall del 10 dicembre 1954.
"Ha intenzione di andare in Svezia per ritirare il Premio?"
"Mi dispiace non poter andare in Svezia, su ordini del mio dottore che dice che sto molto meglio - dopo le gravi lesioni interne che ho subito negli incidenti aerei - lui crede che non sarebbe saggio per me interrompere il regime che sto mantenendo."
"Nessuno scrittore, conoscendo quali grandi scrittori non abbiano ottenuto il Premio, può accettarlo, se non con umiltà. Non è necessario elencarli. Tutti i convenuti possono fare la loro personale lista in base alla loro conoscenza e coscienza.
Sarebbe impossibile per me chiedere all'ambasciatore del mio paese di leggere un discorso nel quale uno scrittore parla di tutte le cose che albergano nel suo cuore. Quel che un uomo scrive può non essere immediatamente chiaro e per questo, qualche volta, può dirsi fortunato, ma col tempo si possono rivelare abbastanza chiare, e grazie a queste parole e al grado di alchimia che lo scrittore possiede, lui potrà resistere al tempo o venire dimenticato.
La vita dello scrittore è, nel migliore dei casi, una vita solitaria. Le organizzazioni di scrittori alleviano la sua solitudine, ma dubito che riescano a migliorarne la scrittura. Più diventa conosciuto al pubblico, più perde la sua solitudine, e così, spesso, il suo lavoro ne risente, deteriorandosi. Lui lavora da solo, e se è uno scrittore abbastanza bravo deve essere in grado di affrontare l'eternità, o la sua mancanza, ogni giorno.
Per un vero scrittore ogni libro dovrebbe rappresentare un nuovo inizio, dove cercare qualcosa di nuovo, che va oltre la semplice realizzazione. Deve cercare di realizzare qualcosa che non sia già stato fatto, o che gli altri hanno fallito nel tentativo di realizzare. E prima o poi, con grande fortuna, riuscirà nel suo intento.
Come sarebbe semplice scrivere se fosse solo necessario riscrivere in altro modo ciò che è stato già ben scritto. Ed è proprio perché abbiamo avuto scrittori così grandi nel nostro passato che uno scrittore deve sforzarsi ad andare oltre, dove nessuno può aiutarlo.
Ma per essere uno scrittore, ho parlato fin troppo. Uno scrittore deve scrivere quel che ha da dire, non deve parlarne. Ancora grazie".
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