Oggi sono novanta giorni esatti dal primo decreto (numero 6) del premier Conte che stabiliva la chiusura di quei comuni in cui si erano registrati i primi focolai del virus.
Sono trascorsi tre mesi esatti dal primo decreto (numero 6) del premier Conte che stabiliva la chiusura di quei comuni in cui si erano registrati i primi focolai del virus. Da lì in poi c'è stata una sequela impressionante di avvenimenti che sembrano lunghi un anno.
Comincia tutto il 20 gennaio, quando viene diffusa la notizia di due turisti cinesi positivi al Coronavirus che alloggiano all'Hotel Palatino di Roma. Il Governo decide poco dopo di chiudere tutti i collegamenti aerei con la Cina. Le immagini degli aeroporti deserti e la lunga liste dei voli cancellati destano scalpore. Ancora pochi giorni e le ricercatrici dello Spallanzani annunciano di aver isolato -per la prima volta in Europa- l'intero genoma del Covid19. È il 2 febbraio.
Il Paese tira un sospiro di sollievo, sembra avviato verso una soluzione della pandemia ma venti giorni dopo esplode il focolaio in Lombardia: il «paziente uno» di Codogno costringe le autorità a dichiarare la zona rossa per i comuni del basso Lodigiano.
Tra il 7 e l'8 marzo scoppiano rivolte nelle carceri a causa della sospensione dei colloqui con i detenuti. Sono le più gravi che si siano mai registrate in Italia con l'evasione di ben 77 detenuti dal carcere di Foggia. Il 10 marzo l'intera Lombardia viene dichiarata zona rossa e tutta la regione inizia a fare i conti con i controlli delle forze dell'ordine che sanzionano coloro che escono di casa senza un valido motivo.
E' solo l'anticipo di quello che accadrà in tutto il Paese con l'estensione del lockdown e la chiusura di tutte le attività produttive. Il 20 marzo gli italiani tentano una reazione alla quarantena ritrovandosi affacciati al balcone per intonare orgogliosi l'Inno di Mameli. Un tentativo che resiste poco, almeno finché i media non trasmettono le immagini delle colonne di mezzi militari che a Bergamo trasportano centinaia di morti da Covid19 verso i forni crematori. Sempre da quella parte d'Italia arrivano le prime drammatiche testimonianze dei medici, infermieri e farmacisti, una vera e propria trincea.
Cesare Maffeis, direttore di alcune residenze sanitarie per anziani in provincia di Bergamo denuncia le difficoltà in cui annaspano: «Siamo costretti a scegliere a chi dare l'ossigeno per mancanza di bombole». Il giorno dopo la Protezione Civile, nella consueta conferenza stampa delle 18,00 annuncia il picco di morti: 969.
Immagini potenti, come la preghiera di Papa Francesco in una piazza San Pietro deserta o quelle del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, da solo davanti all'Altare della Patria nel giorno del 25 aprile, giorno della Liberazione. Nel frattempo in tutto il Paese montano le proteste dei commercianti costretti alla chiusura e si allungano le code davanti al Monte dei... ( AGTW - Antonio Crispino / Corriere Tv ). Guarda il video su Corriere: [ Ссылка ]
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