Questo è il significato, nell’antica lingua mongola dell’Altay, del nome “Sibir”, la Siberia, territorio che occupa un dodicesimo delle terre emerse del nostro pianeta e corrisponde alla parte asiatica del multiforme universo Russia. Un’avventura di 15.000 chilometri, da Vladivostok a Mosca,
nell’inverno più freddo a memoria d’uomo. Quaranta giorni, tra dicembre 2005 e gennaio 2006, lungo le piste della Siberia nell'inverno più freddo a memoria d'uomo, mi hanno lasciato uno strano languore nei pensieri. L'utopia che esistano territori impermeabili alle nostre ambizioni di conquista e potere sulla Natura. Sorta di antidoto all'epidemia umana capace di sperperare le proprie ricchezze nell'illusione di possedere la capacità di manipolare la vita e il futuro. Può succedere con le terre facili, addomesticate. Non nelle infinite grandezze della Siberia, una terra senza sorriso.
La ferrovia Transiberiana è la ferrovia che attraversa l'Europa orientale e l'Asia settentrionale in territorio russo, collegando le regioni industriali e la capitale russa Mosca con le regioni centrali della Siberia e quelle dell'estremo oriente russo. Presentata per la prima volta con grande sfarzo all'Esposizione universale di Parigi del 1900, con il nome di Train Transibérien la sua lunghezza di 9288 km ne fa la ferrovia più lunga nel mondo, divisa in un 19,1% europeo e un 80,9% asiatico (tuttavia a rigore si può chiamare tale solo la parte centro-orientale della ferrovia, da Čeljabinsk (al sud degli Urali) a Vladivostok, costruita tra il 1891 e il 1916. Le è stato dedicato un uovo Fabergé, l'uovo della Transiberiana.
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