Parlare continuamente dell’ansia e degli attacchi di panicoIl primo errore che generalmente si fa è qualcosa che viene estremamente naturale a chi soffre di ansia e attacchi di panico, ed è quello di parlare continuamente del problema, soprattutto con le persone che sono ad essa più vicine. Ne parliamo con i genitori, col partner, con gli amici, perché cerchiamo rassicurazione, perché vogliamo che gli altri siano “preparati” nel caso si dovesse presentare un attacco, ne parliamo spesso perché ci aspettiamo che gli altri ci aiutino, o a volte facciano al posto nostro. Vista così. Diviene presente nel lavoro, quando usciamo, mentre siamo negli spazi aperti o al contrario in quelli angusti, si presenta quando dobbiamo fare qualcosa di importante, quando E spesso questa presenza diventa influenza: così cominciamo ad evitare quei posti, a procrastinare esami e messe alla prova, a delegare impegni o a chiedere continuamente aiuto. Ogni volta che facciamo dell’ansia e degli attacchi di panico il nostro argomento prediletto di conversazione, diamo loro del fertilizzante per crescere ancora meglio, aggiungiamo benzina al fuoco, innescando un circolo vizioso che ci impedisce di vedere oltre al problema.
Bisogna concedere allora meno spazio all’argomento “ansia e attacchi di panico” perché così impediamo all’ansia stessa di avvolgerci completamente nelle sue spire. Avere la forza di impedirci di accartocciarci su di essa, evitando di parlarne e riparlarne, la indebolisce, la sfalda, ne sbiadisce i conto. È evidente che il farmaco serve a bloccare quei sintomi di cui tanto abbiamo paura: tachicardia, palpitazioni, respiro affannato, tremore, nausea, insonnia, senso di svenimento, sensazione di soffocamento etc. Ma se a breve termine può sembrare un vantaggio enorme quello di sopprimere i sintomi, a lungo. Il messaggio che arriva è quello che esprime affetto, che ci dice che qualcuno ci vuole bene e che è lì per noi. È rassicurante sapere di potere contare su qualcuno.Ma quando la risposta positiva alla richiesta di aiuto diventa l’unico criterio di scelta per cui decido di fare qualcosa . Evitare le situazioni che immaginiamo ansiogene. Le persone che soffrono di attacchi d’ansia o panico attuano continuamente strategie di evitamento: evitano i luoghi affollati, gli ascensori, i mezzi pubblici, guidare da soli, le gallerie etc. Non chiedere aiuto a un professionista , questo e’ un errore comune. Può accadere che anche quando a livello logico-razionale comprendiamo l’inefficacia di tali tentativi, e concordiamo sul fatto che ottengono l’effetto contrario a quello desiderato, non riusciamo comunque a cambiare degli schemi comportamentali che ormai fanno parte del nostro quotidiano. Occorre allora affidarsi al giusto. Nella realtà dei fatti uscire dall’ansia e dagli attacchi di panico si può, e spesso si può farlo attraverso percorsi terapeutici brevi. Decenni di pratica e osservazione hanno evidenziato che gli approcci che raggiungono i migliori risultati in tempi rapidi sono la Psicoterapia Strategica e la Terapia Cognitivo-Comportamentale.
Seguendo questi approcci, che danno delle indicazioni pratiche molto concrete basate sull’azione, la persona riesce a sperimentarsi in nuovi copioni comportamentali che la fanno sentire adeguata e protagonista di fronte alle difficoltà, che potrà così superare con la fiducia in sé necessaria per vincere.
Per questi motivi occorre affidarsi a professionisti esperti in grado di guidarci in questo percorso, e che ci facciano vivere esperienze positive replicabili in perfetta autonomia anche dopo la fine della terapia.
Giuliana Attanasio è psicologa e psicoterapeuta. Esperta in Ipnosi e Emdr. La sua missione è quella di portare l’individuo ad un percorso di crescita personale, aiutandolo a sviluppare una maggiore consapevolezza e coscienza di Sè, fornendo gli strumenti necessari per costruire una vita felice e serena.
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I suoi libri:
"Quando il sesso su internet diventa una dipendenza“
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"Dalla violenza sessuale al femminicidio”
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ATTENZIONE: QUESTO VIDEO NON SOSTITUISCE LA PSICOTERAPIA
Successivamente, vengono analizzate le reazioni comportamentali del bambino autistico e delle persone che lo circondano. Solo nella terza fase, quando è chiaro chi e cosa determina l’azione e reazione, il professionista inizierà ad attuare gli esercizi specifici per modificare il comportamento.
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