No, non è la trama di uno slasher movie, e nemmeno lo spunto per un racconto, per una storia di fantasmi.
Questo è un sogno che, dopo anni, si realizza.
Tesori Abbandonati e Urbex Footsteps si spingono nel proibito, in quel limbo di tenebra circondato dall'acqua lagunare veneziana che in molti sognano, che in molti temono.
È infatti tinto di nero e di incubo il passato di Poveglia, un nome che riecheggia nell'immaginario collettivo come luogo oscuro ed inaccessibile.
Conosciuta anche come "Isola dei fantasmi" o "Isola dei morti", a Poveglia vi era un'unica certezza, quella di essere un punto di non ritorno: qui finivano i loro giorni nell'oblio gli appestati, trovando conforto e pace soltanto nella morte, nelle fiamme che divoravano le fosse comuni, o nella calce viva che consumava le loro carni infette. Nel secolo scorso, incontravano un destino altrettanto infausto anche i pazienti con malattie mentali che l'isola ospitava, fra le barbarie subite da parte di un personale sanitario ancora inconsapevole ed impreparato nel campo di questo tipo di medicina.
Sono innumerevoli le leggende che aleggiano attorno a quest'isola, e vi assicuriamo che una volta posati i piedi su quel suolo, qualcosa di indefinibile rimane attaccato, come una scheggia conficcata nell'anima.
Poveglia ci accoglie alle 22 silenziosa, stagliata come un corpo scuro sotto un temporale imminente. Il cielo violaceo e lampeggiante ci consiglia di piantare la tenda all'interno dell'ospedale, per proteggerci da un diluvio quasi certo. Una volta decisa la posizione e accampati, la notte torna serena e decidiamo di esplorare qualche edificio con la luce artificiale delle nostre torce.
Ciò che forse non è estasiante a scopo fotografico è comunque ricco di storie che non ci lasciano indifferenti: i nostri passi si muovono timorosi, rispettosi, ma con la voglia di conoscere e familiarizzare con quella tenebra così densa.
Decidiamo di trattenerci un po' sul molo, visto che della pioggia non c'è traccia: qui passiamo un'ora e mezza dove l'inquietudine si assopisce e lascia spazio alla voglia di pianificare la mattinata fotografica. Alla fine, la compagnia è ciò che conta: non ci facciamo intimorire dalle storie dei fantasmi, dei suicidi e delle barbarie subite dalle persone nei secoli scorsi, ma piuttosto ci focalizziamo sulla fortuna che abbiamo nel condividere un'esperienza unica ed irripetibile come questa.
La notte non è clemente: qualche suggestione disturba il nostro riposo, i gabbiani urlano e si chiamano incessantemente emanando versi terribili, che sembrano davvero di natura umana. In una circostanza come quella, qualche pensiero scomodo affiora, ed il sonno se ne va. Come se non bastasse, poi, un rumore quasi elettronico, un BEEP BEEP, torna ciclicamente nell'aria, ora distante ora vicinissimo alla tenda. Stretti sotto la coperta, attendiamo solo che se ne vada e ci permetta di riposare.
Alle 7 il sole è alto, ed inizia la nostra esplorazione fotografica. Cercando di non perderci di vista, ci aggiriamo fra gli stabili ormai diroccati e vandalizzati, ma pieni di storie da sussurrarci. I nostri passi si muovono su un terreno che si narra essere composto in gran percentuale di cadaveri, e questo è un pensiero tutt'altro che confortevole, ma la luce del giorno in qualche modo ci rincuora, consapevoli di star svolgendo la nostra passione in un luogo davvero unico.
Una volta smontata la tenda e preparate le borse, i nostri amici tornano a recuperarci in barca, quella barca che ha esaudito un grande sogno.
Ringraziamo Sonia e Nicola, i nostri accompagnatori, che hanno assecondato il nostro desiderio passando la notte in barca in caso di pericolo per noi. Salutiamo e ringraziamo Poveglia, che ci ha accolti senza farci scappare via terrorizzati.
Ringraziamo tutte le emozioni che conosciamo di conseguenza alla nostra passione, che ci fa muovere laddove non sembra possibile arrivare, sempre con dedizione, curiosità e rispetto.
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