Impossibile stabilire con esattezza quando è iniziata la malattia e, di conseguenza, assegnare delle responsabilità. Le motivazioni della Corte d’appello di Milano sulla sentenza Fibronit, appena depositate, hanno specificato nel dettaglio questo concetto già anticipato a luglio, con la pronuncia di assoluzione per gli ultimi due imputati: l’ex direttore dello stabilimento Lorenzo Mo, oggi 78enne, e l’ex amministratore delegato Michele Cardinale, classe 1941. A cavallo tra gli anni ’70 e gli anni ’80 avevano lavorato con ruoli apicali e quindi di garanzia alla Fibronit. Gli anni effettivi presi in esame dai giudici in questo senso sono solo 4, tra il 1981 e il 1985, ma poco importa perché la Corte non ha potuto non tener conto delle perizie commissionate a due super consulenti esperti in medicina del lavoro che hanno messo nero su bianco, in lunghe relazioni, questo fatto: impossibile stabilire con certezza il nesso temporale tra l’esposizione all’amianto e l’insorgere delle malattie correlate, in particolare il tumore specifico chiamato mesotelioma pleurico e l’asbestosi. Insomma, è innegabile, l’amianto lavorato alla Fibronit ha provocato migliaia di morti da queste parti, ma è letteralmente impossibile, allo stato delle conoscenze mediche attuali, individuare quando fu inalata la fibra destinata ad innescare, magari 30 o 40 anni dopo, un male incurabile.
Il processo per i morti di amianto a Broni e nelle zone limitrofe iniziò una quindicina d’anni fa a Voghera, qualche anno prima della chiusura del tribunale oltrepadano. Le due sentenze di condanna, in primo grado a Pavia e in secondo grado presso la Corte d’appello di Milano, erano state respinte della Cassazione che aveva rinviato il tutto a un altro collegio milanese, lo stesso che oggi ha messo, salvo un nuovo ed ultimo ricorso in Cassazione, una pietra su questa interminabile vicenda giudiziaria conclusasi con un sostanziale nulla di fatto.
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