"Ciao Carnevale, dove sei? Beh dove sei, sei, magari queste righe ti arrivano. Mi ci vedi come tuttofare in un ristorante a Francoforte? Non è una brutta città, un po' dura, anche nel nome: Frankfurt. Sono qui da quattro mesi e insomma è dura, ma tengo duro anche io. Uno prende il lavoro che può, se può. Il posto me l'ha trovato Pavak che qui ha dei parenti. È un ristorante italiano, molti clienti italiani, in italiano il menù, insomma, ci salto quasi sempre fuori. Paga buona. Fra poco più di un mese divento di nuovo padre, te la ridi? Anch’io. Sara è terrorizzata, ogni giorno le ripeto che questa nascerà sana e robusta, ah perché è femmina. Ma non glielo dico tanto per farle coraggio, glielo dico perché andrà così, io lo so. Sai che una notte Sara m'ha menato? Botte vere, non per dire, perché avevo deciso di venire qui e ancora adesso ogni santo giorno mi tratta come un bambino. Piantala, vieni via, torna a casa. Ma il punto è proprio la casa, quella casa lì io non la vendo, forse un giorno la potrà anche vendere uno dei miei figli, ma io non la vendo che ci devo tornare. Perché ci torno. Ci torno. Ho letto non so più dove che nel giro di sette anni tutte le nostre cellule muoiono per lasciare spazio ad altre nuove, siccome ho tempo per pensare, l’altro giorno mi chiedevo, com’è allora che noi restiamo noi. Di cosa è fatto quel pulviscolo che sopravvive alla fine delle nostre cellule. Io sono fatto della mia famiglia, sono fatto di te, di Max, di tutti gli altri. Siamo fatti della nostra piccola città, dei suoi muri, delle storie che sappiamo di lei e degli altri come noi. Siamo fatti di quell’aria lì. Lo so che ti faccio ridere se ti dico che ho capito cos’è la nostalgia dell’emigrato, però è così. Ed è così forte che a volte penso che l’aria non la recinti e allora mi sembra di vedere, da qui, da lontano, che forse addirittura in qualche modo siamo fatti anche di Trieste, Milano, Cagliari, di Lecce, Venezia, di Pescara, di Palermo. Forse siamo fatti di bellezza in putrefazione, di bugie, paura, di caos e di meraviglia. E poi siamo fatti di colpi di coda, una lunga serie di colpi di coda. Siamo fatti di disprezzo, e sì, di amore. Dici che ti sono diventato sentimentale? Sì, sono in attesa di sviluppi Carnevale, ma almeno so, ne sono sicuro, che di sviluppi ce ne saranno. Ovunque tu sia, vedi di stare bene. Io, ovunque tu sia, ti abbraccio forte.
P.s. L’altro giorno Pietro mi ha mandato un’email con una citazione di Pavese, te la riporto. Dice: un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando ci sei resta ad aspettarti.”
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