All'inizio dell'anno 68 la rivolta incombeva su Nerone e sui suoi eccessi smisurati (ad esempio, proprio in quel periodo stava tornando da una visita puramente artistica in Grecia). Il governatore della provincia della Gallia Lugdunense, Gaio Giulio Vindice minacciava di entrare apertamente in rivolta contro l'imperatore.Era riuscito a coinvolgere anche Servio Sulpicio Galba, ricchissimo ed anziano governatore della Tarraconense e uno degli uomini più leali dello Stato, un servitore modello di Tiberio, Caligola e Claudio.
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In Africa, il prefetto Lucio Clodio Macro entrò anch'egli in rivolta contro Nerone, minacciando di bloccare gli approvvigionamenti di grano per Roma.
Il 15 maggio 68 il prefetto delle legioni della Germania superiore Lucio Virginio Rufo annientò con i suoi soldati le truppe di Vindice presso Besançon. In tal modo, Nerone poté disporre di un periodo di tregua.
In Spagna, Galba si era fatto acclamare "imperatore", ma non aveva, secondo Svetonio, che accettato un titolo più umile, quello di "Legato del Senato e del Popolo Romano". Arruolò anche delle truppe per rinforzare la sua legione, la VII "Gemina", ma non riuscì a salvare Vindice dalla sconfitta in tempo.
Casus belli: morte di Nerone
A Roma, il prefetto del pretorio Ninfidio Sabino, segretamente alleatosi con Galba, aumentò le paranoie di Nerone e lo riempì di menzogne, annunciandogli notizie l'una più orribile dell'altra. Riuscì perfino a convincerlo a chiudere la sua Domus Aurea per una casa nella periferia di Roma. Una volta allontanato Nerone, Sabino vendette la fedeltà dei pretoriani a Galba, mentre il Senato votava contro Nerone, dichiarandolo "nemico della patria". Nerone si suicidò poco dopo, poco fuori Roma, grazie all'aiuto dei suoi quattro liberti,[1] il 6 giugno del 68, ormai abbandonato da tutti. Il Senato votò inoltre la damnatio memoriae di Nerone: Galba venne così eletto imperatore con un plebiscito.
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