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Per le pillole di storia dell'Italia repubblicana, Storie e Le Frites afrronta un tema particolarmente delicato: il terrorismo di sinistra o terrorismo rosso.
Un riassunto degli cosi detti anni di piombo, i principali gruppi armati come le brigate rosse, le uccisioni, un percorso di conoscenza e riflessione a 40 anni da quei momenti.
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Tra le organizzazioni che hanno teorizzato e praticato l'uso della lotta armata durante gli anni di piombo in Italia vi sono gruppi di estrema sinistra quali le Brigate Rosse e Prima Linea.[1] La lotta armata era vista dai militanti come uno strumento profondamente diverso negli obiettivi e nelle modalità rispetto allo stragismo praticato dal terrorismo di destra (responsabile di episodi quali la strage di Piazza Fontana a Milano del 1969, la strage di Piazza della Loggia a Brescia 1974 e la strage di Bologna del 1980). L'obiettivo dei brigatisti, infatti, era quello di colpire obiettivi politici, personalità che ricoprivano incarichi o ruoli ideologicamente contrapposti ai propri.[2][1] Anche per questi motivi, sebbene si affermi che la strategia della violenza attuata dalle organizzazioni di estrema sinistra in quegli anni sia caratterizzata da episodi di di terrorismo[3], difficilmente i militanti accettano questo termine nella descrizione delle loro azioni.
in Italia, tra il 1969 al 1982, la violenza politica e il terrorismo fecero 1.100 feriti e 350 morti. Il piombo era quello le armi utilizzate da organizzazioni come le Brigate Rosse che colpirono carabinieri, poliziotti, dirigenti d'azienda, magistrati, giornalisti, politici, sindacalisti. L'Italia era in un momento di grandi cambiamenti. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta aveva infatti cambiato pelle. Gli effetti del "boom economico" avevano aiutato il Paese a crescere, lasciandosi alle spalle la miseria del Dopoguerra. Ma non tutti vissero l'improvviso benessere.
La nascita di una moderna economia industriale, soprattutto nell'area tra Milano, Torino e Genova, spiazzò una società modellata sui ritmi dell'economia agricola. Iniziò uno spopolamento dei piccoli centri a vantaggio delle grandi città, che in breve si trasformò in un'emigrazione di massa: fino al 1970, 9 milioni di italiani si spostarono da una regione all'altra, in particolare dal Sud al Nord. Già nel 1965 la crescita aveva rallentato ed erano aumentati i casi di sottoccupazione, precariato, sfruttamento. I salari degli operai erano rimasti bassi, i servizi dello Stato insufficienti, il sistema scolastico inadeguato e i modelli culturali arretrati.
Così, alla fine del decennio, l'Italia fu scossa da due ondate di radicale contestazione: la prima, nel 1968, animata dal Movimento studentesco che chiedeva più giustizia sociale e meno autoritarismo; la seconda, nel 1969, innescata dalle rivendicazioni degli operai (il cosiddetto "autunno caldo"). Manifestazioni, scioperi, occupazioni di fabbriche erano all'ordine del giorno. Si avviò un conflitto sociale di vaste dimensioni e l'Italia sembrò spostarsi a sinistra. Nacquero aspettative rivoluzionarie in molti studenti e operai che avrebbero voluto superare il capitalismo. I governi e gli organi dello Stato diventarono sempre più reazionari pur di fermare questo sommovimento sociale.
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