24 ottobbre 2014 - Trattativa: l'ombra di Calogero Mannino dietro i misteri sul fallito attentato a Rino Germanà
Palermo. “Se non è stato un miracolo, di certo si è trattato di un episodio fortunato”. Era il 2 ottobre del 2012 quando Rino Germanà aveva raccontato al Festival della Legalità la storia del fallito attentato nei suoi confronti consumatosi il 14 settembre del 1992 a Mazara del Vallo (Tp).
Poliziotto di razza, classe 1950, a trentaquattro anni era stato nominato dirigente del commissariato di Mazara del Vallo. Germanà era diventato capo della Squadra Mobile di Trapani nel 1987 proprio nel periodo in cui Borsellino aveva assunto l’incarico di procuratore di Marsala. Magistrato e poliziotto si erano quindi ritrovati a lavorare accanto in alcune indagini. Successivamente era stato proprio Paolo Borsellino a chiedere la sua applicazione alla Criminalpol di Palermo per effettuare indagini sulla mafia del Trapanese. “A raccontarla – aveva specificato Germanà durante l’incontro di Villa Filippina – può sembrare una scena da film: il lungomare Fata Morgana di Tonnarella, io che torno verso casa, una macchina mi affianca e dal finestrino spunta un fucile. Arriva il primo sparo”. “Dopo il primo colpo ho guadagnato qualche metro verso la spiaggia, con una ferita alla testa. I miei aguzzini sono scappati, ma ci hanno ripensato e sono tornati indietro per sparare di nuovo. Quando ti sparano non è come nei film: tu ti muovi per schivare i colpi, ma questi arrivano e non capisci nulla. A quel punto, aiutato dai bagnanti, mi sono buttato in acqua. La macchina è tornata per la terza volta, sparando verso di me e le persone che avevo intorno: non riescono a colpire e fuggono via per l'ultima volta”. Quello stesso giorno a Germanà era arrivata la chiamata dell’allora ministro dell’Interno, Nicola Mancino, che gli aveva preannunciato il suo immediato trasferimento a Roma.
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