4 luglio 2019 - Depistaggio via d'Amelio, Ayala depone tra nervosismo e supponenza
"La borsa di Paolo arrivò nella mia mano. Non ricordo come. Sarà una colpa di cui risponderò davanti a Dio"
Al processo sentito anche Salvatore La Barbera, ex funzionario della Squadra Mobile di Palermo
L'ex pm Giuseppe Ayala, l'uomo delle molteplici versioni sulla sua presenza in via d'Amelio nel giorno della strage e che tenne in mano la borsa di Paolo Borsellino, è stato sentito giovedì scorso al processo sul depistaggio di via d'Amelio, che vede come imputati i poliziotti Mario Bo, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo accusati di concorso in calunnia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra.
Una deposizione dove, ancora una volta, il teste non ha mancato di mostrare quei tratti di nervosismo, supponenza e tracotanza in particolare di fronte alle domande della parte civile di Salvatore Borsellino, rappresentata in aula dall'avvocato Fabio Repici, tanto che lo stesso presidente del Tribunale, Francesco D'Arrigo, lo ha dovuto richiamare al proprio ruolo ("Lei è qui in veste di testimone, la domanda non è fatta in modo offensivo, deve accettare il ruolo di testimone che è nobile") prima di predisporre una pausa per stemperare gli animi che si erano surriscaldati.
Eppure anche in questa deposizione Ayala ha avuto modo di fornire nuovi particolari rispetto alle dichiarazioni del Borsellino quater, in particolare sulla persona che lo aiutò ad identificare Paolo Borsellino. Non si trattava di Guido Lo Forte, ma di un'altra persona che non ricorda chi fosse. "Prima di venire qui ho chiamato a Lo Forte e telefonicamente mi ha assicurato che non era lui la persona che mi aiutò a riconoscere Borsellino - ha detto - Lui arrivò dopo. Lo Forte mi ha confermato che ci siamo visti successivamente, che ci abbracciammo e che lui non volle vedere Paolo. Io quindi ricordavo male. C'è stata una persona che mi aiutò ma non ricordo assolutamente chi era".
Ayala ha così giustificato i suoi "difetti" di memoria: "Sin dall'inizio ho fatto una precisazione. Non credo di dover spendere molte parole per descrivere quale era il mio stato d'animo in via d'Amelio quel 19 luglio. Sono arrivato tra i primi perché abitavo lì vicinissimo, ripeto sempre le stesse cose, e sono inciampato in un tronco di uomo carbonizzato, senza braccia e senza gambe. Non sapendo che lì abitava la madre di Paolo Borsellino mi sono sforzato di riconoscerlo perché ero stato messo in allarme dalla presenza della macchina blindata. Poi sono uscito, mi sono ritrovato di fianco alla macchina bruciacchiata di Paolo. L'ho sempre detto, ero presente fisicamente ma con la testa non c'ero. Ero stravolto, anche perché mi era venuto il pensiero se questi continuano il terzo potrei essere io".
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