Si fa presto a dire entanglement... ma a ben pensarci le conseguenze di questa pazzesca caratteristica del mondo dei quanti sono davvero difficili da mandare giù. Come conciliare con la nostra idea di natura il fatto che due entità possano essere talmente interconnesse l’una con l’altra che – se ne vedo una arrossire – la gemella all’istante sbiancherà (o sarà verde), foss’anche al confine opposto dell’universo. Sempre e all’istante, in barba a ogni limite sulla velocità della luce. Peggio ancora: prima che io la guardi, non sarà né rossa né verde né altro. Al punto che lo stesso Albert Einstein, che quanto a immaginazione non aveva certo nessuno da invidiare, provocava i colleghi quantistici chiedendo loro se veramente fossero convinti che la luna esiste solo se la si guarda.
Si fa presto a dire entanglement... ma provare che l’impeccabile castello matematico di formule che ne certifica la correttezza formale ha anche una controparte fisica, che quelle inimmaginabili azioni a distanza si verificano davvero, anche in laboratorio, dimostrarlo con un esperimento, è tutt’un’altra cosa. O meglio: le strade non mancano, e una fra le più eleganti e percorribili la suggerì John Bell già nel 1964. Ma tutti gli esperimenti da allora approntati, benché abbiano sempre verificato la validità del suo teorema, presentavano almeno una potenziale falla – in inglese loophole, o scappatoia. Le due particelle potevano trovarsi in due laboratori, A e B, non lontani a sufficienza da garantire che non comunicassero fra loro, prima scappatoia. Oppure mancava la garanzia che tutti gli eventi in entanglement venissero presi in considerazione, mettendo così in dubbio la rappresentatività delle misure.
Ebbene, da oggi la situazione è cambiata. Nei laboratori dell’università di Delft, in Olanda, per la prima volta il Teorema di Bell è stato dimostrato con un esperimento senza vizi nascosti, loopholes-free, come dicono gli inglesi. Grazie a un assetto a tre laboratori, invece dei due canonici, con i due principali posti a 1280 metri di distanza l’uno dall’altro e un terzo più o meno a metà strada. Nei due laboratori principali, A e B, sono state generate coppie elettrone-fotone in entanglement, con l’elettrone intrappolato grazie a un’impurità nel reticolo d’un chip di diamante e il fotone inviato via fibra ottica al laboratorio C. Mentre in A e B i dispositivi misuravano, dopo aver variato in modo casuale l’assetto della misura stessa, lo spin dei due elettroni registrando di volta in volta il risultato, in C si valutava, confrontando le coppie di fotoni in arrivo, se gli elettroni di A e B si trovassero in stato d’entanglement. Eventualità che, durante le 220 ore di durata dell’esperimento, s’è presentata circa una volta all’ora. Per l’esattezza, 245 volte: un numero sufficiente per un test statisticamente significativo del Teorema di Bell.
Un risultato storico, pubblicato ora su Nature, che certifica – per la prima volta senza via di scampo – quanto la realtà sia assai più bizzarra di quello che a tuti noi, Einstein compreso, appare.
Di Marco Malaspina
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